Quarant'anni sono tanti: e i segni che lasciano sono indizi di nuove direzioni, a volte senza sbocchi, a volte invece diventate parte della vita di tutti.
Telefono Amico è un buon esempio. Non so se la vita sia diventata più difficile. Ci sono però meno certezze, meno strade dirette. Quarant'anni fa c'era lavoro per tutti, vedevi crescere delle possibilità, crollavano mura sociali e tutti sognavano un legittimo benessere, senza doversi immaginare di partire per l'America. L'accesso alle scuole diventava più agevole: il ginnasio si trasformava nella scuola media di tutti, e nascevano le borse di studio e i prestiti d'onore, la medicina recuperava il suo ritardo, nasceva una vera psichiatria, si ammodernavano le vie di comunicazione, e si accelerava il passaggio da un'economia rurale a un'economia dei servizi. Era anche il tempo dell'immigrazione, che avrebbe dato nuova sostanza alla Svizzera. A Zurigo il caffé sarebbe lentamente diventato l'espresso.
La "nuova" popolazione era ancora poco integrata. Ci sono voluti decenni per avere una nuova generazione di svizzeri, consapevoli di che cosa li unisce e di che cosa invece richiama una tradizione diversa. Ma uniti nel costruire un paese culturalmente vivace, intelligente, creativo. Un paese nuovo, nato da una gravidanza complessa, e da un parto a volte travagliato.
Ho vissuto intensamente quegli anni, e ho pochi dubbi: sono gli anni della mia gioventù, li ricordo con nostalgia, ma il presente è per certi versi migliore. Non dappertutto, non sempre, ma oggi è meglio di un tempo. Abbiamo guadagnato la libertà di vivere più liberamente, l'appoggio ai deboli non è più la carità, ma un diritto temperato da regole. L'attenzione va piuttosto al merito che non all'origine familiare, e all'utente che non all'istituzione. La pressione morale si è orientata ai risvolti pratici. Società, Stato e famiglia sono dunque profondamente cambiati. Anche se non è cambiata la natura umana, le relazioni umane a volte sembrano meno esposte al controllo sociale.
Telefono Amico nasce appunto in questi anni di grandi cambiamenti. Non che prima non ce ne sarebbe stato bisogno, ma a volte è l'organo che modifica una funzione. Ha saputo coagulare, attorno ad un bisogno di ascolto, un insieme di buona volontà e di saper-fare: persone che per un periodo sacrificano una parte del proprio tempo agli altri. Non per raggiungere gloria o denaro, non per sentirsi particolarmente buoni, ma per fare un servizio al prossimo. Tuttavia è noto che per dare un servizio al prossimo non basta "far qualcosa". Bisogna anche farlo bene secondo le regole che l'arte prescrive.
E' stato uno dei meriti di Telefono Amico, di esigere, e nel contempo di offrire una formazione ai suoi collaboratori. Perché l'ascolto non è solo una disposizione dell'animo, un momento della giornata. Diventa uno strumento di aiuto per gli altri se assume caratteristiche proprie, ben note agli specialisti. Non deve essere giudicante. Non può indicare le soluzioni, ma al massimo adombrarle, o suggerirne le vie per una verifica. L'ascolto è difficile, perché è un momento irripetibile, nella sua unicità. Concretamente: non è una psicoterapia fatta per telefono. Il telefono serve a lenire un dolore interno, ma non toglie la ferita, quando c'è. Ma chi si trova dalla parte di Telefono Amico, raramente verrà a sapere quale effetto avrà sortito il suo intervento, quale destino abbia affrontato lo sconosciuto con cui ha parlato. E' un aspetto frustrante, comune a tutti quelli che operano in una modalità di primo intervento: chi lo fa proprio, ne farà un elemento di ricchezza personale.